Per non deviare

Precisazioni del Senpai

Nel Regolamento interno della Tai-A no Kai figurano (tra le altre) due parole terrificanti:

BUSHIDO e SPADA

Basta già la prima: BUSHIDŌ, per entrare in un argomento colossale, qualcosa di appena (sottolineo appena) concepibile anche per il sottoscritto nonostante il suo cimentarsi più che quarantennale nella meravigliosa Disciplina dello I-AI, che è una Via cavalleresca e quindi esigente una dotazione interiore decisamente elitaria.  

BUSHI è il Guerriero. BUSHIDŌ è la Via del Guerriero. Già queste poche parole, per il borghesuccio cresciuto in un’atmosfera di “pace” (mai virgolette furono più appropriate) con frigorifero, condizionatore e termosifone, abituato a pasti assicurati e vacanze, specialista in passatempi ludici e sportivi, evocano un tipo umano anacronistico e d’impossibile abbordaggio senza uno studio (BUN) meditato, rimeditato e rimeditato ancora dei testi classici inerenti il BUSHIDŌ, accompagnato da una reiterata pratica corporea (BU). Infatti, soltanto il BUN-BU meditato-praticato per anni e anni può far concepire, anche se molto alla lontana, il modo d’essere del BUSHI.

Soltanto dopo anni e anni di BUN-BU (non per nulla vien detto “BUN-BU ITTAI”, cioè BUN-BU UNA COSA SOLA) e quindi di perfetta inquietudine, si può cominciare ad intuire chi è il BUSHI e, al confronto, cominciare a sentirsi un … lillipuziano. Dico “perfetta inquietudine” a ragion veduta: nella vita del BUSHI non c’è niente di scontato e tranquillo poiché la morte è sempre a un passo ed il BUSHI ne fa la sua ispiratrice, mentre la quiete mortale che coccola e strangola il borghesuccio, geloso dei suoi “diritti”, è quanto di meno indicato per esercitarsi nel BUSHIDŌ. Per chi non è impegnato in una severa forgia di sé, la perfetta inquietudine, latrice di un inesauribile slancio vitale, unito paradossalmente ad una calma determinazione, risulta incomprensibile.

Il BUSHI è il guerriero, è colui che sa fare la guerra ma preferisce la pace. Il BUSHI è uomo di pace, ma sa fare la guerra. Il BUSHI sa uccidere ma preferisce non farlo. Il BUSHI non uccide, ma sa farlo se vi è costretto. Il vero uomo di pace è il BUSHI proprio perché sa fare la guerra, il vero uomo della vita è il BUSHI proprio perché sa dare la morte. Il BUSHI è l’uomo integro, completo: esso è signore della pace e della guerra come della vita e della morte. Esso è signore della vita e della morte perché entrambe le sono indifferenti: se deve vivere, vive con onore, se deve morire, muore con onore. Siamo ad un livello vertiginoso.

Quello qui sopra non è un gioco di parole, bensì l’illustrazione del tipo d’uomo antitetico tanto al pacifista, mezzo uomo pavido e senza attributi, quanto al guerrafondaio, mezzo uomo esaltato ed illuso di avere gli attributi. Il BUSHI è l’uomo nobile (cioè non-vile), quindi l’esatta negazione del pacifista e del guerrafondaio che cadono sotto il suo disprezzo. Non per nulla (non da) oggi il mondo è infestato da pacifisti e guerrafondai, la feccia ignobile dell’umanità che riduce il mondo ad una cloaca: questa e la conseguenza dell’eclissarsi del BUSHI, cioè dell’UOMO PADRONE DI SÉ, dell’UOMO TRASCENDENTE, dell’unico vero garante della pace (finché è possibile).

Come se non bastasse, ora vengono i dolori poiché trattiamo della SPADA.

Diciamo subito che il BUSHI, per la sua virile indifferenza alla vita e alla morte, prima di tutto nei propri riguardi, è l’unico che può usare “la spada che dà la vita” (katsujinken) e “la spada che prende la vita” (satsujinken), tornando qui il motivo dell’UOMO COMPLETO che può essere portatore tanto di pace e vita ove possibile quanto di guerra e morte ove inevitabile.

Ora, la SPADA è un’ARMA, e l’arma serve per UCCIDERE. Come osserva Mishima, una volta estratta, la SPADA deve tagliare (deve “bere sangue”) altrimenti si snatura e perde la sua forza ancestrale. Estrarre la spada per incutere timore, per gareggiare o per snobistico passatempo è l’ultima cosa da fare ed ha effetti rovinosi sulla psiche del malcapitato incosciente che, illuso, se ne sente gratificato.

La mancanza di consapevolezza circa la LETALITÀ della SPADA e del PERICOLO ad essa legato, ha dato la stura a quello che il nostro Mentore Dr. Procesi chiamava “grosso equivoco” in merito al proliferare dello spirito ludico-sportivo – quindi svirilizzato – in seno alle Arti marziali (cioè di Marte, il dio della guerra!) e che invece, nella nostra Scuola, Egli preferiva definire piuttosto “Arti minervali”, poiché, romanamente, Minerva è la Dea della saggezza, della guerra, dell’arte; è la vergine guerriera che pianta la lancia per lo spuntare dell’ulivo simbolo di pace. Come si vede, ritorna qui il motivo su esposto circa la trascendente e saggia coesistenza, per il BUSHI, della guerra e della pace, della vita e della morte.

E qui sorge la difficoltà estrema di intuire, più che “capire”, il senso dello I-AI, ovvero dell’impiego della SPADA contro un avversario immaginario (kasō teki), giacché se la SPADA non può essere sguainata invano senza depauperla della sua intrinseca energia, occorre che essa, una volta estratta, UCCIDA… CHI? Risiede qui la peculiare natura dello I-AI, Arte sofisticatissima (e perciò difficilissima) che, data la mancanza di reale pericolo, può scadere facilmente a sport o passatempo amatoriale ancorché il praticante ne sia inconsapevole, e, dulcis in fundo, si riempia la bocca di termini altisonanti inerenti l’Arte (oltre che di birra dopo aver superato indenne l’esercitazione-passatempo).

Secondo il parere del sottoscritto, suffragato da decenni di esercitazione, l’unico modo per rendere vero il Kata (forma di duello) è quello della mimica, tendendo presente che mimare non è imitare bensì molto di più:  il mimo s’immedesima in ciò che mima, lo diventa. Ossia: lo Spadaccino fa l’incantesimo a se stesso, si spoglia della sua identità ordinaria (ammesso che questa abbia una parvenza di realtà) per assumere quella del duellante che è a diretto contatto con la morte, cosicché l’avversario immaginario, attimo per attimo, diventa davvero un pericolo esiziale. Non v’è alternativa a questa trans-formazione integrale di sé e, nel contempo, della trans-formazione del  Dojo in un agone ove si svolge il tragico e nobile certamen. Alla trans-formazione interiore del praticante corrisponde immediatamente quella esteriore dell’ambiente. Trans-figurante magia. Trans-posizione nella verità del Mito: san Giorgio e il Drago.

Mimare il duellante significa vivere intensamente il momento presente, in cui la morte può erompere dallo  stato latente e farsi prossima fino a sentirne il sibilo. Soltanto così l’estrazione della SPADA (ri)acquista un senso che salva  la sua valenza marzial-minervale. Altrimenti, dello I-AI non resta che un’insignificante, solipsistica agitazione estetica.

Ritengo che tutto quanto sopra sia sufficiente per comprendere che lo I-AI esige dallo Spadaccino la capitolazione della propria forma mentis, ovvero, secondo la definizione del Vocabolario Treccani: della «struttura mentale, soprattutto con riguardo al modo di considerare e intendere la realtà, quale si determina nell’individuo per indole ed educazione», con ciò ponendosi un tema di enorme difficoltà poiché rimandante a quello dell’ego, cioè del kasō teki: l’avversario invisibile, forse identificabile anche come kage: l’ombra.