Vivere come essendo già morti

Preparati ogni giorno all’ineluttabilità della morte.

Ogni mattina, dopo che avrai calmato il corpo e lo spirito, corri con la mente agli ultimi istanti della tua vita.

Figurati in cuor tuo di morire straziato dalle frecce o dai proiettili, trafitto da una lancia o da una spada.

Immagina di essere avvolto da un’ondata gigantesca, di cadere fra le fiamme di un incendio, di essere colpito da un fulmine o inghiottito da un terremoto.

Guardati precipitare in un orrido profondissimo, pensati malato grave o schiantato da un accidente improvviso.

Muori in cuor tuo ogni mattina che manda il cielo.

Dicevano gli antichi: «Esci di casa e sei un uomo morto, varca il cancello e troverai il nemico».

Non era un invito alla prudenza, ma a vivere come essendo già morti.

Hagakure, Libro undicesimo, 133

Chi si esercita nell’Arte della sciabola giapponese dovrebbe scolpire a lettere di fuoco nella propria mente il brano qui sopra, nel quale non è indicato soltanto un “ideale d’altri tempi”, bensì una ben precisa PRATICA in mancanza della quale la sciabola si riduce a niente più che un giocattolo per … avanzare di grado e gareggiare, ossia per un banale interesse personale (dissimulabile ostentando una falsa umiltà), non essendoci niente di più assurdo che sguainare la sciabola per una propria soddisfazione, o, in altre parole, per alimentare il proprio ego, che invece è quello che con la sciabola si dovrebbe tagliare.

Laddove dice «Ogni mattina, dopo che avrai calmato il corpo e lo spirito», è indicato senza ombra dubbio il sedere in zazen o in mokuso. Dice «ogni mattina», quidi si tratta di una PRATICA che consiste nel «rimanere immobile come un pezzo di legno», secondo quanto suggerisce il “Sutra del cuore” a rimedio degli insalubri germogli interiori che inficiano lo stato contemplativo, l’unico garante del retto agire e retto parlare (si noti, importantissimo, il carattere auto-ispettivo del brano):

«Quando i pensieri distratti sorgono dentro di me, quando ho desiderio di criticare gli altri, oppure sento nascere in me orgoglio o arroganza, quando nasce in me l’intenzione di sottolineare gli errori degli altri, riprendere vecchi rancori, oppure trarre in inganno gli altri e tutte le volte che sono bramoso di elogi, propenso alla maldicenza, presuntuoso e litigioso ecco che in questi momenti debbo riflettere e rimanere immobile come un pezzo di legno. Ogni qualvolta sorga il desiderio di muovermi o di pronunciare parole, debbo prima accertare che la mia mente sia tranquilla ed agire di conseguenza in maniera appropriata. Ogni volta che nella mia mente sorga il germe dell’ira, o vi è attaccamento, io non devo in questi momenti né agire né parlare, ma rimanere immobile come un pezzo di legno».

Poi dice «figurati … immagina … guardati», da riferire a tutto ciò che minaccia ad ogni istante la vita, ed anche questo è parte integrante della PRATICA, ovvero l’abituarsi interiormente all’idea della morte fino a diventar tutt’uno con essa, e constatarne il potere trasformante. Questo significa «Muori in cuor tuo ogni mattina che manda il cielo».

Il metodo per realizzare un’idea, affinché non rimanga un mero riferimento filosofico di cui parlare, è: RITMIZZARE, ovvero la ripetizione costante e regolare, che del resto è richiesta anche per imparare le tecniche, queste ultime, però, totalmente inutili, anche se perfette, senza la trasfusione dell’idea di morte (figurarsi … immaginarsi … guardarsi) in tutto l’essere di carne, sangue e ossa.

Nota importante circa il RITMIZZARE:

«Il nostro corpo e il nostro cervello sono dei “cattivi conduttori” rispetto alle esperienze spirituali. Dobbiamo realizzare la loro qualità di ostacoli e vincerla con un atto interiore. Quando il cervello comprende, capta e intercetta ciò che gli si presenta ed impedisce che esso entri in comunicazione con i centri sottili: soltanto ciò che è ripetuto e ritmizzato può passare alla coscienza spirituale supercerebrale». (Leo, Aforismi).

«Vivere come essendo già morti», ossia vivere LIBERI.

Liberi da SHOJI NON MAYOI: l’errore/illusione di vita e morte.

Questa foto, dal famoso film “I sette samurai”, è più eloquente, per chi sappia leggerla, di una dettagliata e rumorosa spiegazione filosofica.