Essere se stessi, presenti a se stessi

«Che cosa significa essere se stessi, presenti a se stessi? Impossibile dirlo, impossibile illuminare questa situazione fondamentale, collocandosene al di fuori. Occorre innanzitutto viverla. Allora, e soltanto allora, il suo mistero sparisce, ed essa diventa fonte di luce, simile a un faro che ci acceca se lo guardiamo di fronte, rimanendone al di fuori, mentre rende visibile ogni cosa se ci mettiamo nel suo centro luminoso, e nell’asse del suo irraggiamento.

 

Essere presenti a sé non è null’altro che volgere senza debolezze la propria attenzione dal di dentro al di fuori, raccogliersi su di sé come l’animale alla posta e, come questo, fissare lo sguardo sulla preda, non per divorarla ma per accoglierla; essere luce per contemplare la luce che rischiara il mondo. La presenza di sé a se stesso e la presenza al mondo sono assolutamente correlative.

 

L’uomo senza crepe, tutto d’un pezzo, senza duplicità, è colui che intesse con il reale i più numerosi e più vivi rapporti: i santi, i geni, gli eroi, massime incarnazioni di uomo, aperti indefinitamente agli altri e al mondo. L’unità del loro essere è inseparabile dalla loro relazione con l’universo […] Quanto più l’uomo è presente a sé, e rifiuta la scissione interiore, tanto più scopre il suo accordo con il mondo, e tanto più lo considera un fratello e un punto d’appoggio, anziché un nemico o un ostacolo. Nulla gli pesa nell’universo: il mondo gli corrisponde nella sua totalità.

 

Obbedienza all’essere e libertà sono proprio la stessa cosa. Obbedire ed essere liberi diventano sinonimi, dal momento che io accetto di essere uomo […] Ne viene un paradosso inaudito, inconcepibile, salvo che alla parte più fine e segreta dell’anima: la libertà non diventa assoluta se non nella misura in cui consente ad essere relativa e ad inserirsi nel tessuto vivo di relazioni concrete che costituiscono l’uomo e il mondo. La libertà è una rinuncia totale all’autonomia, al potere che io ho di darmi una mia propria legge, al potere che ho di dire io. L’uomo diventa se stesso solo quando cessa di dire io.

“Solidarietà con l’essere” non significa affatto abbandono passivo: è invece un atto di virilità, di forza e di amore, che supera la dispersione interiore a favore della quale l’io instaura il suo dominio».

 

Marcel De Corte, Fenomenologia dell’auto distruttore.

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