Equanimità e consapevolezza

«Coloro la cui mente è inamovibile 
Pur essendo toccati dalle otto vicissitudini mondane * 
Liberi dal patimento e dalle impurità 
Sperimentano la più alta beatitudine».

Mangala sutta (Discorso sulle benedizioni)

* Guadagno e perdita, onore e disonore, lode e biasimo, dolore e gioia.

Riteniamo che quanto segue, tratto dall’Introduzione a Genshin (Eshin Sozu), Il libro giapponese dei morti – Ōjō-yōshū, possa interessare molto da vicino il Praticante di Spada giapponese, se è vero che lo stato mentale ideale dello spadaccino è quello indicato dai termini mushin: senza mente, muga: senza io, munen muso: senza pensiero e senza desiderio, e, al livello supremo, Fudoshin: la Mente immobile. 

«La mente è una camera piena di voci, bisbigli, spifferi, urla, dove si continua a sentire ciò che ci si abitua ad ascoltare. Pertanto, per silenziarla, è necessario disabituarsi ad ascoltare, rendere ferma la mente, focalizzare l’attenzione su un unico suono, farne il supporto della meditazione fino a far sparire quello stesso supporto, come una zattera che s’abbandona una volta giunti sull’altra sponda, il silenzio. Qui si accede al primo stato di assorbimento. In esso vi sono gioia e letizia derivante dall’isolamento e accompagnate dall’applicazione e il mantenimento dell’attenzione iniziale. Abbandonata poi l’applicazione iniziale, si entra e si dimora nel secondo stato di assorbimento, qui la mente è tutta concentrata sul suono della meditazione, il silenzio si amplifica, come se una nicchia piena di plasma si erigesse attorno, ad avvolgere, simile ad un uovo di cui si sia diventati il tuorlo. A quel punto la mente dimora nell’equanimità (upekkhā) e nella consapevolezza (sati), priva di dolore e di letizia, concentrata, senza macchia, luminosa, malleabile».