Yume

Yume (Sogno). Calligrafia di Takuan Soho (1573-1645).

Nomura Art Museum, Kyoto, Giappone

Quando il poeta del XVII secolo Takuan Soho (1573-1645) fu invitato a comporre il suo jisei*, prese un pennello e dipinse il kanji per “sogno” (yume ), posò il pennello e morì.

* jisei 世: nelle parole dello studioso buddista Zen, DT Suzuki, un “versetto con la vita”. Gli occidentali lo hanno conosciuto come un “poema di morte” […] I Jisei  venivano abitualmente scritti o recitati minuti prima della morte imminente dell’autore […] In Giappone non era insolito che il moriente si consultasse con un poeta rispettato in anticipo della morte, per essere aiutato a finire il jisei. A volte un jisei poteva essere riscritto dopo che il tempo passava e avvenivano dei cambiamenti nella vita della persona che aveva sofferto di una malattia prolungata; era accettabile in quanto la persona poteva aver sperimentato fasi di riflessione personale.

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L’uso di comporre lo jisei era parte integrante dell’etica samurai e rimase costante nel tempo […] ricordiamo due personaggi storici, due generali che hanno contrassegnato la seconda parte del XVI° secolo, acerrimi nemici, valorosi soldati e monaci zen: Takeda Shigen e Uesugi Kenshin.

Torii Kiyomasu I: Uesugi Kenshin (R) and Takeda Shingen (L) at the Battle of Kawanakajima.

Il primo, ferito da una freccia, sentendo avvicinarsi la fine disse ai suoi amici: “Quando avrò reso l’ultimo respiro, gettatemi nel lago e mantenete segreta la mia morte, non voglio che i miei soldati si scoraggino” (episodio questo raccontato nel film di Kurosawa “Kagemusha – l’ombra del guerriero”) e poi compose i seguenti versi:


“Esso” è lasciato alla sua naturale perfezione;
e questa non ha alcun bisogno di ricorrere
a colorazioni artificiali o a ciprie
per apparire bella.

I versi si richiamano alla letteratura zen e si riferiscono alla assoluta perfezione della Realtà ultima dalla quale veniamo, nella quale torniamo e nella quale ci troviamo. Un mondo di molteplicità che va e torna mantenendo dietro le apparenze una bellezza perfetta e immutabile. Kenshin seguì Shingen cinque anni dopo, componendo due poesie, la prima scritta in cinese, la lingua usata dagli intellettuali e dalle classi colte:

Anche una vita generosa
non è che una coppa di sake;
una vita di quarantanove anni
è passata in un sogno;
io non so cosa sia la vita, né la morte.
Gli anni passano: ma tutto è sogno.

e la seconda scritta in giapponese:


I Cieli e gli inferni sono lasciati indietro;
io sto nell’aurora nella luce della luna,
libero dalle nubi dell’esistenza condizionata.

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Chissà se in punto di morte i moderni praticanti di Spada giapponese saranno pronti a comporre un jisei? Altrimenti la Disciplina della Spada a che sarà servita? A salire di grado?