Yume
9 Settembre 2019

Yume 夢 (Sogno). Calligrafia di Takuan Soho (1573-1645).
Nomura Art Museum, Kyoto, Giappone

Quando il poeta del XVII secolo Takuan Soho (1573-1645) fu invitato a comporre il suo jisei*, prese un pennello e dipinse il kanji per “sogno” (yume 夢), posò il pennello e morì.
* jisei 辞世: nelle parole dello studioso buddista Zen, DT Suzuki, un “versetto con la vita”. Gli occidentali lo hanno conosciuto come un “poema di morte” […] I Jisei venivano abitualmente scritti o recitati minuti prima della morte imminente dell’autore […] In Giappone non era insolito che il moriente si consultasse con un poeta rispettato in anticipo della morte, per essere aiutato a finire il jisei. A volte un jisei poteva essere riscritto dopo che il tempo passava e avvenivano dei cambiamenti nella vita della persona che aveva sofferto di una malattia prolungata; era accettabile in quanto la persona poteva aver sperimentato fasi di riflessione personale.
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L’uso di comporre lo jisei era parte integrante dell’etica samurai e rimase costante nel tempo […] ricordiamo due personaggi storici, due generali che hanno contrassegnato la seconda parte del XVI° secolo, acerrimi nemici, valorosi soldati e monaci zen: Takeda Shigen e Uesugi Kenshin.

Torii Kiyomasu I: Uesugi Kenshin (R) and Takeda Shingen (L) at the Battle of Kawanakajima.
Il primo, ferito da una freccia, sentendo avvicinarsi la fine disse ai suoi amici: “Quando avrò reso l’ultimo respiro, gettatemi nel lago e mantenete segreta la mia morte, non voglio che i miei soldati si scoraggino” (episodio questo raccontato nel film di Kurosawa “Kagemusha – l’ombra del guerriero”) e poi compose i seguenti versi:
“Esso” è lasciato alla sua naturale
perfezione;
e questa non ha alcun bisogno di
ricorrere
a colorazioni artificiali o a ciprie
per apparire bella.
I versi si richiamano alla letteratura zen e si riferiscono alla assoluta perfezione della Realtà ultima dalla quale veniamo, nella quale torniamo e nella quale ci troviamo. Un mondo di molteplicità che va e torna mantenendo dietro le apparenze una bellezza perfetta e immutabile. Kenshin seguì Shingen cinque anni dopo, componendo due poesie, la prima scritta in cinese, la lingua usata dagli intellettuali e dalle classi colte:
Anche
una vita generosa
non è che una coppa di sake;
una vita di quarantanove anni
è passata in un sogno;
io non so cosa sia la vita, né la
morte.
Gli anni passano: ma tutto è sogno.
e la seconda scritta in giapponese:
I Cieli e gli inferni sono lasciati
indietro;
io sto nell’aurora nella luce della
luna,
libero dalle nubi dell’esistenza
condizionata.
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Chissà se in punto di morte i moderni praticanti di Spada giapponese saranno pronti a comporre un jisei? Altrimenti la Disciplina della Spada a che sarà servita? A salire di grado?
