Jiriki e Tariki

自力   他力

«In linea di massima due sono le visioni e i rami nella pratica del buddismo giapponese: vi è quella più conosciuta, illustrata dallo Zen, una via chiamata jiriki 自力, che letteralmente significa «capacità personale», «auto-potere», ed indica la potenzialità insita nell’individuo di realizzare se stesso contando solamente sulle proprie forze. Questa è la tendenza più conosciuta del buddismo e quella che in terre occidentali ha avuto maggiore diffusione, non foss’altro che per la fiducia – spesso equivocata – nella «capacità individuale» di giungere al Risveglio. L’altra è invece quella promossa dalla scuola della Terra Pura, il tariki 他力, letteralmente «forza dell’altro», «altra potenza» e indica l’idea che l’individuo, essere corrotto dalla nascita, non possa con le sue sole forze raggiungere il Risveglio, se non vi è una forza altra che venga in suo aiuto a sostenerlo e Illuminarlo. Questa forza altra è quella della compassione del Buddha Amida, espressa coi suoi 48 voti come riportato nel Muryōju-kyō (Sūtra della Vita Infinita). Anche questa forma di abbandono alla fede nell’Altro ritrova dei suoi corrispettivi in altre pratiche religiose, ad esempio in quella forma di misticismo in cui il devoto s’abbandona a Dio, come troviamo spiegato dettagliatamente nell’Abbandono alla Provvidenza Divina del gesuita Jean-Pierre de Caussade, o in molti sermoni di Meister Eckhart, poesie di Juan de la Cruz, così come in numerosissima mistica femminile».

Introduzione aGenshin (Eshin Sozu), Il libro giapponese dei morti – Ōjō-yōshū (Ortica editrice).

Da parte nostra, riteniamo che una netta distinzione fra jiriki e tariki sia  fuorviante e foriera di illusione e presunzione. Non a caso, anche nel brano citato si accenna ad una «fiducia – spesso equivocata – nella “capacità individuale” di giungere al Risveglio».

La necessità di una disciplina agli effetti del Risveglio (peraltro non garantito), come ad esempio quella della Spada, è la prova che l’uomo è un’entità sì autonoma ma che non possiede da sé lo stato di Veglia né, tanto meno, la facoltà di svegliarsi, ché altrimenti risulterebbe quantomeno stravagante, per non dire assurdo, che tale entità, possedendo lo stato di Veglia, cadesse nel sonno per poi doversi impegnare (o giocare”?) a risvegliarsi. Evidentemente, ciò che può essere smarrito non è connaturale a chi lo smarrisce, bensì gli è soprannaturale, e proprio perché tale, lo integra.

È da precisare che in questa nostra esposizione ci riferiamo all’uomo in quanto unità di mente-corpo (shijin ichi nyo). Di fatto, l’uomo non è senza il corpo (con la sua stupefacente complessità), ciò comportando la necessità di una disciplina tanto della mente quanto del corpo.

Ecco pertanto che l’uomo in quanto autonoma entità mente-corpo deve disciplinarsi confidando in una Luce che lo trascende e lo integra perfezionando la sua struttura trinitaria di Luce-mente-corpo, importando poco o punto se questa Luce risieda o meno nel suo intimo, ovvero se le sia o non le sia immanente, poiché, come già osservato, è la necessità della disciplina a testimoniarne la trascendenza. Quindi parlare di “auto-risveglio” o “auto-liberazione” è del tutto fuori luogo, per non dire pericoloso, dandosi la grandissima probabilità di restare preda di un’illusione pseudo gnostica.

Il sonno in quanto sonno non può svegliarsi da sé, ché altrimenti non si spiegherebbe il suo precedente assonnarsi; la Veglia in quanto Veglia non può addormentarsi, ché altrimenti recherebbe in sé l’imperfezione di un fatale assonnarsi. Chi è caduta nel sonno è la mente-corpo umana che, in un modo o nell’altro, ha voltato le spalle alla Luce compromettendo la propria struttura trinitaria di Luce (Spirito), mente e corpo, talché si può dire che l’uomo comune è orfano della Luce,  greco orphòs, latino òrbus, orbo, privo; nel nostro caso privo di Luce, cieco di spirito.

Ecco quindi che l’auto-potere (jiriki) concerne soltanto la determinazione e la costanza (imprescindibili) nel sottoporsi ad una disciplina di conversione, la quale consiste essenzialmente in un lasciare la presa, ossia un abbandono di tutto ciò con cui la mente-corpo si identifica, volgendo in tal modo le spalle alla Luce e piombando nel sonno. Il lasciare la presa è ciò che permette la conversione; è un atto umano (jiriki) quale condizione per il fruire della Luce (tariki), come l’atto di spalancare la finestra è condizione perché la stanza sia inondata dal sole. Il sole (tariki) splende di per sé, indipendentemente dall’atto di aprire (jiriki) la finestra.

Quindi, l’uomo risvegliato non può essere identificato con la Luce, ché altrimenti occorrerebbe ammettere, come già osservato, la stravaganza per la quale è la Luce ad accecarsi smarrendo Se stessa, il che equivarrebbe ad affermare che l’Assoluto) possa smarrirsi nel relativo o che l’Universale  possa smarrirsi nell’individuale, o che l’Illimitato possa smarrirsi nel limitato, o che l’Immobile possa smarrirsi nel mobile, o che il Perfetto  possa smarrirsi nell’imperfetto, o che il Mozzo della ruota possa smarrirsi nei raggi, o che lo Specchio possa smarrirsi nelle immagini che riflette, o che il Divino possa smarrirsi nell’umano, o, ancora, che il Sole possa smarrire il proprio splendore a causa delle nuvole. La mente-corpo non è la Luce, ma la Luce è per la mente-corpo: Luce-mente-corpo.

La Luce è il Principio, e «in Principio era il Verbo» e il Verbo è la «Luce degli uomini». L’uomo non è Dio, ma può diventare un dio perché deificato dal Verbo, rigenerato dalla Luce, nella restaurazione della trinità Luce-mente-corpo. Impossibile dire “Illuminazione” senza presupporre la Luce. 

«Nella nostra vita lo sforzo è importante, è molto importante il nostro personale impegno e sforzo ma, arrivati ad un certo punto non è più sufficiente e allora qualcosa, altro da noi, possiamo chiamarlo Dharma, Dio, interviene e ci sostiene».               

Eido Shimano Roshi, torakanzendojo.org/incontro_shimano_roshi.htm

Di qui la necessità di FEDE E PRATICA (GYŌSHIN 行信) nel Tariki.

«Passerete da una dimensione di Jiriki – il potere del sé, l’aspetto attivo – in cui si ricava la forza dalla potenza personale, ad una dimensione di Tariki – il potere dell’altro, l’aspetto passivo –, in cui potrete contare su una forza superiore, rimettendovi alle potenze del cielo e alle forze della natura. Jiriki e Tariki sono due termini di origine buddhista che non vanno contrapposti, poiché le pratiche di Jiriki hanno la potenzialità di risvegliarvi alle forze superiori di Tariki».

Hydeko Yamashita, Dan Sha Ri

Del resto troviamo Jiriki e Tariki anche in Autori d’Occidente:

“Agisci come se tutto dipendesse da te, sapendo che tutto dipende da Dio”. (Sant’Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali).

 “Gli dei aiutano quelli che si aiutano da soli” (Esopo, Ercole e il carrettiere).

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