Michi

Riteniamo che il praticante occidentale di Iai-do non possa esimersi dal tenere presente cos’è michi (oppure do). Si tratta di qualcosa di cui, per così dire, è “intriso” il comportamento tradizionale giapponese, e quindi non può essere fatto proprio soltanto attraverso l’intelletto. Ogni Via marziale (Via, non arte) risulterà falsificata, come nei tempi attuali effettivamente accade, se il praticante non terrà ognora presente lo spirito michi, che è prettamente shinto e, si ribadisce, è inseparabile dallo studio delle tecniche (waza) della Spada giapponese.

Riteniamo che il brano proposto qui di seguito, trattto da Bikkhu Satori Bhante, Lo Shintoismo, fornisca un’informazione esauriente circa quanto debba intendersi per michi.

Michi – Do

Per michi, cioè la Via, si intende un concetto misterioso, informulato, e tuttavia influente, accompagnato da timore religioso e solennità. Il termine michi è probabilmente il più espressivo di tutto il vocabolario giapponese in materia di etica e religione. All’origine, e anche nella lingua corrente, significa sentiero o strada; in religione e in etica significa via, insegnamento, dottrina, oppure, come a volte lo si traduce, principio (l’equivalente cinese sarebbe tao). Alla sua presenza si respira un’atmosfera che nobilita. Un uomo di michi è un uomo di carattere, un giusto, che ha dei principi e delle convinzioni e che obbedisce alla natura della sua umanità. Accusare qualcuno di essersi allontanato dal michi è un insulto, perché ciò implica una perversità verso ciò che è essenziale nell’uomo.

Michi è una componente ricevuta dal Cielo, è l’ideale celeste che deve essere realizzato nell’umanità; è anche lo stile, il modo di vita che ci è dato come ideale eche si accetta di vivere. La moralità è michi,cioè l’armonizzazione della vita  con l’ideale, e pensiamo che la ragione stessa costituisca l’essenza del michi. Ma qualunque sia il modo in cui si intende e adopera il termine, michi esprime una convinzione profondissima e sincera che stringe l’uomo in modo solennemente impressionante all’altezza e alla profondità del Grande Tutto. Implica che l’essenza della vita umana sia legata ad una vita sovrumana. Questo michi degli antichi giapponesi era indubbiamente semplicissimo e assai ingenuo; eppure kannagara no michi,la via dei kami*, rappresentava l’ideale religioso del popolo, una ‘obbedienza inconscia alla Via’, che è il corso della Natura, il quale è la volontà degli dèi. C’è in questo una semplicità estrema, una fede totale nella giustezza di ciò che è naturale. Ma, come diceva in un suo poema Michizane Sugawara:

“Se nel segreto del mio cuore

io seguo la via sacra

gli Dèi certamente mi hanno nel loro cuore

anche se non gli rivolgessi alcuna preghiera”.

* L’ipotesi più diffusa attualmente sostiene che il termine kami derivi dall’omonimo kami, traducibile con alto. Perciò, secondo l’ipotesi, il kami shintoistico dovrebbe designare ogni essere superiore (= “ciò che è in alto”).

Potremmo dire, citando il grande commentatore Norinaga Motoori che “la parola kami si usa anzitutto per indicare le singole divinità del cielo e della terra delle quali parlano le cronache antiche, come pure per indicare i loro spiriti che si trovano nei santuari shintō nei quali esse sono venerate. In più si chiamano kami quegli esseri umani, passeri e animali, piante e alberi, mari e monti e cose che per le loro forze straordinarie e meravigliose sono oggetto di timore o meritano venerazione. E inoltre, il nome di kami può essere dato non soltanto alle cose di eccezionale bellezza, nobiltà, bontà o utilità, ma anche agli esseri malvagi e sinistri, sempre però che siano oggetto di generale timore”.

Come si vede, il termine kami racchiude un significato molto ampio, e persino ambiguo. Perciò, fondandosi in questa ampiezza di significato, si potrebbe definire lo Shintō come un complesso di credenze antiche e di osservanze rituali il cui oggetto sono gli spiriti delle divinità mitologiche, degli eroi, degli antenati, delle forze della natura. Generalmente è possibile vedere nello Shintō una religione animista, la cui origine risale ai tempi più arcaici del Giappone mitologico.