Lo Iai è mimica – 2

A questo punto sarà utile occuparsi della differenza radicale tra MIMICA  e IMITAZIONE, inquadrando la questione da Occidente e affidandoci ad una citazione dal sito  cdrc.it/mmi.html. in merito al Metodo Mimico di Orazio Costa Giovangigli, regista e pedagogo teatrale (Roma 1911 – Firenze 1999), avvertendo che sono state omesse le considerazioni concernenti i malintesi intorno al termine mimesi, in quanto non strettamente necessarie nel presente contesto (le sottolineature sono nostre).

«Se esiste una distinzione che i mimici imparano a fare dopo pochi mesi di addestramento, tale distinzione concerne i termini “mimica” e “imitazione”. Chi abbia assistito a una lezione di propedeutica mimica non avrà mancato di osservare che l’insegnante ribadisce spesso, e con forza, l’asserzione “LA MIMICA NON E’ IMITAZIONE!” […].

Quando noi parliamo di “mimica” ci riferiamo a una pratica, a un atto preciso, l’atto mimico […] (che) è molto diverso dall’atto imitativo: “mimare” non è “imitare”. Ma cosa significa questo? Per comprendere la distinzione tra mimica e imitazione si consideri che entrambe le parole descrivono una relazione a tre termini:

A imita l’oggetto B producendo C

A mima l’oggetto B producendo C 

Entrambi gli atti hanno a che vedere con la produzione di un oggetto C, produzione operata da un soggetto A a partire da un oggetto B. Tuttavia secondo i mimici le due espressioni descrivono qualcosa di completamente diverso. Mentre nel caso dell’imitazione l’oggetto C è prodotto scientemente al fine di rassomigliare all’oggetto B, in modo pressoché indipendente dal soggetto A, nel caso della mimica, o mimazione, l’oggetto prodotto, C, dipende fortemente dal soggetto A […]

Quando usiamo il termine imitazione, nella lingua italiana, o anche in quella inglese ci riferiamo sempre a un atto in cui l’oggetto C che è imitazione di un altro oggetto B tende a rassomigliare in modo pressoché indistinguibile all’oggetto originale […] il soggetto che opera l’imitazione, in un certo senso non pone nulla di proprio […]   L’atto mimico, al contrario, è sempre un atto di soggettivazione, un atto cioè in cui il soggetto, le sue inclinazioni, le sue predilezioni o addirittura le sue abitudini entrano con un ruolo fondamentale. Se due persone A e A’ imitano entrambe l’oggetto B otterranno due oggetti, C e C’ molto simili fra sé e molto simili all’originale; viceversa, se le stesse persone mimano l’oggetto B otterranno due oggetti, D e D’ che probabilmente saranno molto diversi. 

Insomma […], l’oggetto che viene mimato non determina mai il risultato della mimazione che dipende sempre e comunque da colui che compie l’atto mimico […]

Infine il temine mimica ha […] il riferimento costante e irrinunciabile alla fisicità e al corpo: uno tra gli aspetti rivoluzionari del metodo (di Orazio Costa Giovangigli ndc) sta proprio nella crucialità e nella centralità del corpo come veicolo e attore della mimica. Non c’è mimica senza corpo […]: è il corpo, non lo spirito, che produce l’arte. Questi aspetti rivoluzionari sono bene espressi dal termine “metodo mimico” e “mimica”». 

Quindi «è il corpo, non lo spirito, che produce l’arte». E l’esortazione di Costa Giovangigli che citiamo appresso merita tutta l’attenzione possibile, anche perché essa riguarda strettamente il Praticante di iai. È vero che, di solito, la mimica comprende anche le espressioni del volto che nello iai ha invece da restare impassibile, tuttavia per quanto riguarda il corpo e la sua capacità espressiva essa rimane ineccepibile.

Del resto, secondo quanto dice Mishima nelle Lezioni spirituali per giovani samurai, nel capitolo ottavo sulla bellezza dell’azione:

«nell’attimo in cui la spada viene sguainata si concentra l’essenza della bellezza maschile. La mano sinistra preme con forza sulla guaina, la destra estrae  la spada ed il petto si protende mentre il braccio con un movimento ampio e possente vibra il colpo mortale all’avversario: quando questi movimenti fluiscono armoniosi come acqua, nello iai si manifesta la bellezza degli antichi guerrieri […] Nella bellezza del portamento si rivela la bravura: in una figura eretta, che si ritrae e si protende senza mai curvarsi si rivela la calma densa di tensione che si materializza nel combattimento e nell’azione».

Quindi è nella “bellezza del portamento”, cioè nella bellezza delle stasi (ma) e dei movimenti (undo) del corpo, che “si manifesta la bellezza degli antichi guerrieri”, effetto che richiede il mimare (non l’imitare) appunto gli antichi guerrieri. E qui, in totale consonanza, approfittiamo per evidenziare due delle parole più importanti riguardanti la Pratica: kigurai, la fierezza, lo spirito della persona di rango, e hinkaku, la dignità, il «portamento leggiadro della persona meritevole di rispetto» (etimo.it).

気​位   品格

kigurai               hinkaku

Ed ecco ora la profonda esortazione di Costa Giovangigli, circa lo “strumento”, cioè il corpo, che richiede qualcosa di più di una ‘lettura’, per quanto attenta possa essere, da parte del Praticante di Spada giapponese.

«Se sapete che il vostro strumento siete voi stessi, conoscete anzitutto il vostro strumento, consapevoli che è lo stesso strumento che danza, che canta, che inventa parole e crea sentimenti. Ma curatelo come l’atleta, come l’acrobata, come il cantante: assistetelo con tutta la vostra anima, nutritelo di cibo parcamente, ma senza misura corroboratelo di forza, di agilità, di rapidità, di canto, di danza, di poesia. Diverrete poesia aitante, metamorfosi perenne dell’io inesauribile, soffio di forme, determinati e imponderabili, di tutto investiti, capaci di assumere e dimettere passioni, violenze , affezioni, restandone arricchiti e purificati … tesi alla rivelazione di ciò che l’uomo è: angelo della parola, acrobata dello spirito, danzatore della psiche, messaggero di Dio e nunzio a se stesso e all’universo d’un se stesso migliore».

Anche in Estetica ossia dottrina del bello e delle arti belle di Peter Lichtenthal, medico austriaco, scrittore, compositore e arrangiatore (1778-1853), troviamo che (le sottolineature sono nostre):

«la mimica (l’arte, il linguaggio dei gesti, da mimestai,imito) è l’esposizione dei nostri pensieri e sentimenti mercé i movimenti e forme esterne del corpo.

La mimica degli antichi era nel proprio senso, come tutta l’arte loro, plastica; all’incontro quella dei moderni è più pittorica […]

Essendo il corpo umano l’oggetto in cui si scorgono i movimenti mimici, conviene considerar per primo i requisiti del corpo umano. Essi sono parte naturali, parte acquistati.

La prima condizione dell’annunzio estetico dell’artista mimico è il bell’aspetto del corpo ch’innalza l’interesse in tutte le manifestazioni del mimico, mentre la deformità del corpo parte disturba, parte impedisce l’arte dei gesti; prima di tutto si esige un volto espressivo e un occhio parlante.

Il corpo deve inoltre essere capace di rappresentare i vari gesti con agilità e sicurezza, conseguentemente senza sforzo, il che, perfino ne’ paesi più favoriti dalla natura, richiede un considerevole ed esteso esercizio delle disposizioni naturali alla mimica.

A tali disposizioni ed abilità fisiche deve unirsi una viva immaginazione, un sentimento fino e vivo, e un particolare sentimento per il bello […] finalmente il mimico non deve perdere il dominio dello spirito su tutte le parti del corpo ».

Da notare l’ultima prescrizione: “dominio dello spirito su tutte le parti del corpo”, a sottolineare la non-dualità di spirito e corpo: shinjin ichinyo, spirito e corpo uniti.

(continua)